Dall’ipertesto al web semantico
Il volume di Paolo d’Alessandro e Igino Domanin dal titolo Filosofia dell’ipertesto (2005 Apogeo) non è una semplice ricostruzione storica delle scritture ipertestuali, quanto una riflessione filosofica sul passaggio cognitivo, epistemico ed ermeneutico dal brainframe alfabetico a quello digitale. Da un lato l’ analisi si concentra sulla dicotomia tra libro e textum, intendendo il primo quale una struttura rigida e gerarchica e il secondo come una trama complessa dai molteplici fili. Dall’altro lato si prendono in esame i contributi della filosofia e della mass-mediologia per cercare di comprendere la portata culturale della fase di discontinuità e passaggio che stiamo vivendo.
Se infatti l’ipertesto è una forma nuova di concepire il testo, occorrerà allora anticipare le conseguenze filosofiche di questa trasformazione, utilizzando contemporaneamente il decostruzionismo di Derrida, la teoria del brainframe di De Kerckhove, la teoria dell’Homo Tecnologicus di Arnold Gehlen. Constatato infatti che l’ipertesto è una forma di scrittura liquida e a brandelli, sottoposta a un processo continuo e collaborativo di ermeneusi come avevano già anticipato Derrida ne Della Grammatologia e Barthes in S/Z, occorrerà indagare la portata di questa trasformazione chiamando in causa, parallelamente, gli studiosi della scuola di Toronto da McLuhan a De Kerckhove e gli studiosi dell’ipertestualità quali Landow..
Se con Landow è stato possibile ricostruire le tappe storico-evolutive dell’ipertesto da Bush a Nelson all’ipertesto globale attraverso un approccio misto tra letterati e progettisti di software, con gli autori della scuola di Toronto sarà possibile spiegare il trauma dovuto al nuovo ambiente mediale digitale con tutte le conseguenze a livello cognitivo. Poiché stiamo vivendo una fase di passaggio da un paradigma alfabetico ad uno digitale, le conseguenze a livello psicologico non saranno meno traumatiche di quelle vissute nell’epoca di Platone nello slittamento dall’oralità alla scrittura. L’alfabetizzazione è stata infatti una forma crudele di modellamento del nostro corpo in pari misura all’aggressività ed invasività delle nuove tecnologie.
Nuovi brainframes digitali, dunque, ma anche nuovi paradigmi filosofici perché la filosofia che ha fatto del modello alfabetico e logocentrico la sua ragion d’essere si riveste ora del compito di dover spiegare la portata del cambiamento cercando ancora una volta di costruire spiegazioni e miti capaci di tradurre le trasformazioni in atto e riformularle in modalità comprensibili, tenendo conto degli slittamenti di senso inevitabilmente dovuti alle mutazioni del medium.
Il capitolo dedicato alla storia dell’ipertesto, oltre ad includere le fasi chiave tra progettisti di software e pionieri dell’editoria collaborativa, arriva sino all’invenzione dei linguaggi di markup, accennando all’XML e al progetto del web semantico. Queste esperienze vengono descritte come momenti successivi di una progressiva normalizzazione del medium digitale che trova nuove e sempre più efficaci strategie per indicizzare e recuperare i testi.
Sul versante collaborativo, invece, l’ipertesto si trasforma in blog e in wiki, due nuovi momenti della scrittura digitale che mettono in campo comunità di utenti che scrivono e riscrivono la conoscenza. Se il blog perde l’aspetto associativo tipico dell’ipertesto in nome di una maggiore sequenzialità e gerarchia, il wiki incorpora la logica di riscrittura continua e condivisa che era propria dell’ipertestualità. da rilevare anche l’accenno ad ulteriori forme collaborative di scrittura online, quali forum e mailing list, considerati, i primi, strutture rigide ad albero ove il link è ridotto agli interventi e le seconde come forme interrelate e associate di mail.
È inoltre il metalinguaggio a svolgere un ruolo determinante nelle ultimissime pratiche e trasformazioni dell’ipertestualità. Dai linguaggi di markup ai nuovi strumenti collaborativi, il metalinguaggio configurandosi come l’insieme dei processi che gettano un ponte tra la volontà di dire e le regole del medium. L’evoluzione tecnica dei linguaggi di produzione e fruizione dei contenuti ha tuttavia reso invisibile e normalizzato (standardizzato?) le meta-pratiche di visualizzazione e di costruzione degli ipertesti, riducendo anche lo stress emotivo e psicologico di chi fruisce e produce quei testi. Con i blog e i wiki, che dispongono di procedure semi-automatiche di meta-etichettamento, si riduce lo stress tecnologico del lettore-costruttore di iper-testi.
I capitoli successivi affrontano le problematiche didattiche dell’e-tutor delle nuove tecnologie facendo riferimento alla pedagogia della complessità di Morin. L’educazione alla complessità viene infatti presentata come una sfida necessaria in un’epoca in cui l’obiettivo è la globalità del sapere. Secondo questo approccio, il docente non dovrebbe tanto trasmettere puro sapere, quanto piuttosto proporre una cultura che permetta di comprendere le condizioni particolari e caratterizzanti della nostra realtà.
Il libro procede quindi alla presentazione del progetto Hermes-Net dell’Università statale di Milano come tentativo di realizzare una pedagogia della complessità che metta in campo un approccio multidisciplinare e flessibile che abbracci contenuti e discipline distinte. Per arrivare poi ad abbozzare una semantica dell’interfaccia, utilizzando le home-page della piattaforma del progetto, facendo riferimento al metalinguaggio tecnologico che si va costituendo nella mente dell’autore-lettore nel momento della fruizione del testo. Mentre gli ultimi capitoli del volume sono dedicati ad ttività didattiche e di laboratorio.
Manuale completo che ripercorre le tappe evolutive dell’ipertesto sino al web semantico, Filosofia dell’ipertesto non manca di affrontare anche problematiche di tipo culturale ed epistemologico. Pur se è assente il necessario approfondimento filosofico sugli autori che hanno anticipato le scritture digitali, in quanto il testo si limita ad un rapido excursus attraverso i decostruzionisti, saltando o solo accennando a Deleuze e Foucault. Alquanto curata invece la ricostruzione del pensiero della scuola di Toronto e ben riuscito il collegamento tra le scuole filosofiche e massmediologiche che hanno accompagnato e anticipato l’affermarsi delle scritture e del paradigma digitale, prendendo a prestito il concetto di paradigma da La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas S. Kuhn.
Preziosa ricostruzione, Lucifuia.
Talmente dettagliata che fa perdere la voglia di comprare il libro!