Caterina va a votare
Con insolita tempestività, e mettendo da parte filmacci americani d’azione o melliflue fiction nostrane, Rai Uno ieri sera ha mandato in onda “Caterina va in città”. Sebbene già in palinsesto da giorni, la rete ammiraglia ha così proposto un riuscito schizzo del dopovoto più efficace di tanti dibattiti, attraverso un film che è una caricatura di un’Italia manichea e divisa, in cui le spaccature evidenti finiscono per sottendere una sorta di natura comune, e in cui tutto finisce all’italiana, a tarallucci e vino. Mi è sembrato di trovarci la frenesia dell’Italia televisiva, lo smarrimento un pò rassegnato del professore di provincia di fronte al vedere come gli estremi si toccano, e che la vera divisione sia tra potenti e gente comune, sottolineando il qualunquismo della dicotomia facile e comoda tra destra e sinistra che veniva genialmente cantato da Gaber qualche anno fa.
Ma il film è l’occasione per analizzare i paradossi di questo voto che divide in due il paese, o che forse mostra come il paese è in realtà spaccato da tempo, senza che servisse il 9 aprile a dimostrarlo.
La prima spaccatura evidente è quella strumentale tra sinistra e destra. Paradossale se si pensa che ad una legge elettorale che ha diviso in due l’Italia come succede nelle repubbliche in cui vige un sistema maggioritario. La radicalizzazione del confronto, esasperata dai duelli televisivi ha prodotto il quasi pareggio che rispecchia una enorme diversità di valori, di interessi, di modi di vivere. Le proposte di dialogo delle prime ore sembrano riposte europee, ma sono subito suonate inverosimili, di fronte a due schieramenti politici divisi sui concetti base della democrazia. Un pò rispecchia il paese, un pò così ce l’ha reso la campagna elettorale, mostrandoci da subito un elettorato spaccato in due, tra voto di interesse e voto di valori, tra Berlusconi si e Berlusconi no, tra illusionisti e disillusi, tra buoni e cattivi, tra signorotti e stranieri in patria, filo-furbetti contro filo-magistrati, pacifisti contro patrioti, come se tutto fosse riducibile a duelli tra icone personali. Zapatero contro Ruini, Luxuria contro Calderoli, Della Valle contro Berlusconi, perfino Terzani contro la Fallaci.
Due Italie che scelgono modi diversi di divertirsi, acculturarsi, crescere, spaccate da un muro di Berlino davanti al quale assistere impotenti ad una stagnazione senza precedenti. Due mondi che non riescono a confrontarsi, non più rappresentati da una classe politica autoreferenziale e poco attenta ai problemi concreti, forse l’unica cosa che unisce gente profondamente diversa.
La seconda grande divisione è tra giovani e vecchi, una specie di frattura generazionale che rischia di inaridire il confronto sociale tra padri e figli. Uno studio SWG pubblicato oggi da Repubblica fotografa il voto dei giovani (dai 18 ai 23) che pur rappresentando il 10% dell’elettorato danno un segnale importante. Molti si sono lasciati affascinare da Prodi più che da Berlusconi, recuperando forse una concezione del voto più ideologica che d’interesse. Inoltre hanno mostrato una spiccata preferenza per i partiti estremi, riponendo fiducia maggiormente in Rifondazione Comunista e Alleanza Nazionale. Una contraddizione se si pensa ai progetti di grandi coalizioni centriste: i giovani seguono una strada di radicalizzazione ma la politica sembra andare in un’altra direzione, verso inciuci e bicamerali con l’illusione di importare un modello tedesco che da noi è improponibile. Il Partito Democratico di respiro di cui si parla e una riorganizzazione del centro che superi il berlusconismo non sono quello che vogliono i giovani, più interessati ad una sinistra europea vicina ai movimenti e ad un modello di destra più liberale che democristiana.
Sono i “figli delle primarie” come li definisce il professor Stefano Draghi, quelli che manifestano per la pace e contro la guerra, che guardano al modello spagnolo nelle aperture al multiculturalismo in cui sono nati e che aspirano ad una trasformazione dei diritti civili. L’attenzione verso il mondo gay, la contestazione della scuola morattiana, le battaglie dei ragazzi di Locri, l’abbraccio socializzante della generazione unita da internet. E ancora il fascino della rivolta pacifica di Parigi contro la precarietà, l’impegno sociale nelle associazioni umanitarie e una voglia di stare al passo coi tempi che la politica non rispetta, indietro com’è, ferma a vecchi paradigmi, nelle mani dei soliti dinosauri. Il paradosso del decisivo voto dei senatori a vita, paventato per qualche ora, è in realtà ancora attuale, e quello che emerge dall’analisi del voto è la necessità non solo di ascoltare i giovani, ma anche quella di farli partecipare, svecchiando l’Italia nel modo di pensare e di agire politicamente, smettendola di considerare i cinquantenni acerbi per governare (come invece avviene nel resto d’Europa), e lasciando spazio anche agli under 35. Potrebbe essere un modo ulteriore per farli uscire dalla famiglia, prigioniera di politiche di sostegno e protezione richieste dai partiti centristi, invece di aiutarli ad essere indipendenti con provvedimenti che li aiutino a trovare un lavoro o una casa.
Infine la spaccatura profonda tra nord e sud. Forse la più pericolosa. Giorgio Bocca non si stupisce che il settentrione produttivo e industriale abbia nuovamente premiato il protezionismo berlusconiano, oltre le aspettative. È difficile dargli torto, nonostante certi segnali ambigui come le regioni o le province passate a sinistra negli ultimi anni. Ma anche in questo caso l’Italia va a due velocità, tanto che il referendum di giugno sulla devolution diventa un test fondamentale sul futuro unitario del paese. Non tanto sul risultato, quanto sulla percezione del problema. Un’Italia federalista sarebbe il colpo di grazia a questo paese pieno di piccole crepe e prigioniero del pareggio. Non a caso è sembrato un voto di classe come ai vecchi tempi, come se a contrapporsi fossero stati la TAV contro i treni regionali, l’organizzazione settentrionale contro l’abbandono sociale e ambientale del sud. Un pericolo enorme, che risveglia un istinto federalista forse inconsapevole, e che allontana due mondi sempre più diseguali.
Sarà fantapolitica, ma sentivo dire che nel 2011 (tanto per avere tempo perché invecchino…) la sinistra radicale e il futuro Partito Democratico potrebbero unirsi attorno al nome di Walter Veltroni, e la destra convogliare cattolici e filoberlusconiani verso la figura di Roberto Formigoni. Il sindaco d’Italia contro il governatore del nord. Il tagliatore di nastri tutto cultura e stato sociale contro l’amministratore metodico e teocon.
Le ennesime due Italie che farebbero fatica a stare insieme, a parlarsi, ad incrociarsi per strada senza lanciarsi sguardi torvi e sospettosi. Chissà Caterina da che parte starebbe.
Bellissimo articolo!
Bravo Ale…sapevo che avevi la stoffa del grande giornalista 🙂
sicuramente ci suonerebbe un pò su, aprirebbe i suoi occhioni sgranati e voterebbe chi le assicura maggior cultura…perchè l’unico post che si può fare a un articolo bello come questo è quello di ricordare l’ennesima divisione di questa italia: tra chi fa citazioni di bernard show senza essere compreso e chi involontariamente cita totò senza essere ricordato (“moderatore lo moderi”). perchè le due coalizioni si scontrano anche su chi ama il cinema (veltroni) e chi va impellicciato all’inaugurazione della scala (formigoni). tra chi entra alla feltrinelli per scroccare la lettura di nuovi libri e chi va alla mondadori per comprane di nuovi.insomma, tra chi crede che la Cultura sia una priorità epr la Democrazia e chi ha paura esattamente della stessa cosa…
Gentile Prof.ssa De Rosa
Avrei voluto mandarle prima queste informazioni, ma ho dovuto aspettare che diventassero di dominio pubblico per non mettere nei guai la persona che me le ha passate.
Facendo un rapido confronto dei dati provenienti dall’ estero circa le elezioni politiche, salto subito agli occhi il dato medio di risposta, di gran lunga superiore rispetto alle altre nazioni,proveniente dalla Svezia pari al 42,07 %. Gli elettori iscritti nei registri erano 5211, i votanti sono stati 2087.
Una percentuale questa molto alta se si considera che il voto è stato espresso per via posta, poiché la Svezia è uno Stato con intese bilaterali Italia-Svezia.
Se si va oltre i dati e le percentuali si deve evidenziare il forte fermento avutosi per queste elezioni dovuto al fatto che dalla fondazione della Repubblica ad oggi è stato possibile per la prima volta votare rappresentanti degli italiani all’ estero. La classe 35-45 pare essere il gancio di traino di questo fermento.
Un interesse particolare sembra essere venuto soprattutto dagli studenti all’ estero non iscritti all’ AIRE (anagrafe degli italiani residenti all’ estero), che hanno intasato i centralini dell’ Ambasciata d’ Italia in Svezia per chiedere informazioni riguardo il loro diritto di voto, che non hanno.
In riferimento a quel 42,07% si può inoltre dire che,anche se relativamente alto, sarebbe potuto crescere ancora di più se solo gli italiani per diritto di nascita,che forse non si sentono italiani nel senso stretto del termine,si fossero interessati solo un po’ a queste elezioni. Ma questa spessa fetta di potenziali elettori non ha quasi più rapporti con le nostre rappresentanze italiane, inoltre tende a non sforzarsi di tenere vive quelle radici linguistiche che oramai non vengono più tramandate da una generazione all’ altra.
Ne aggiunggerei una quarta. Quella tra uomini e donne. Infatti sono ormai giorni che cerco di trovare dati su come il genere ha votato. Ma è difficile capire come..se non con dichiarazioni di voto…e quelle come sapete sono ora più che mai meno credibili.
Si può – forse e appena sapremo precisamente chi sono gli eletti – cominciare a capire, attraverso il numero e la configurazione delle donne nel nuovo parlamento, come e in che modo le donne incideranno sulla nuova legislatura.
Spero in un atto – se non uguale – almeno vicino alla riforma fatta da Zapatero negli ultimi mesi. E che le donne occupino posti di primo piano.
Almeno otto ministre
bravi bene bis!!!
il paese è diviso in due da sempre !!!
19 milioni di voti a sinistra è un grande successo elettorale perchè si passa dai 16 mil del 96, ai 17 del 2001 ai 19 appunto di oggi.
La prima volta in Italia dal dopoguerra che il popolo della sinistra è maggioranza numerica nel paese.
come diceva Bobbio (La Democrazia), questa “dittatura della maggioranza” ha bisogno di un solo voto in più per essere tale e la legge elettorale di ora è tale da dare un premio di maggioranza a chi lo prende.
Allora, vogliono i signori della destra accettare la sconfitta e mettersi da parte come in tutte le democrazie del mondo?
Governo difficile, per carità, risicato se vogliamo, ma sempre una maggioranza è. Da Mitterand a Kohl, a Schreder fino a Churcill, i casi di governi risicati sono tanti ma non vuol dire ingovernabilità, anzi.
Sta diventando una farsa pericolosa e “questa spaccatura” ripeto, è semplicemente un passaggio di voti netto e massiccio dalla CdL all’Unione.
FI ha perso il 6% di voti, perchè nessuno ne parla ????
Grazie
Si ma resta primo partito…
Senza parole..
i miei semplici, banali ma sentiti complimenti..
A me interesserebbe invece conoscere la suddivisione del voto a seconda dell’età: da quel poco che si può evincere dalle differenze fra Camera e Senato mi pare che la maggior parte dei giovani si siano espressi per la coalizione di centrosinistra, mentre la Leadership mantenuta da F.I. mi indurrebbe a pensare che, essendo gli anziani coloro che guardano il maggior numero di ore di televisione ed avendo poca dimistichezza con il pluralista web, potrebbero aver espresso in maggioranza una preferenza per il partito del “cavaliere”.
Mi ha colpito molto una lettera di un 22enne, Angelico Martinez, su “La repubblica” del 12 aprile, che faceva notare come una ottantenne, saputo che il giovane aveva votato per Prodi, lo abbia accusato di voler far ritornare la dittatura in Italia……..