L’illusione della democrazia attraverso i blog
Riflettendo a margine del recente intervento di Stefano Rodotà sul ruolo possibile (e auspicabile) di parlamenti e governi nell’era di Internet, Franco Carlini scrive fra l’altro quanto segue, in un pezzo appropriatamente intitolato “L’illusione della democrazia attraverso i blog”, in uscita oggi su Il Manifesto:
Sulle forme della democrazia e ancor più sull’illusione del voto in rete su ogni possibile decisione, la discussione è finita da tempo, dopo le ventate tecno-utopiche dei primi anni ’90 e chi frequenti l’insieme dei blog, specialmente quelli italiani, potrà avere conferma di quanto poco discorsiva, colloquiale e spesso vuota sia la suddetta blogosfera. Noterà come molti autori siano monomaniacali, autoreferenziali e autocitantesi, sovente pronti all’insulto, approssimativi nei giudizi. Persino alcuni tra i migliori giornalisti, da anni nel mestiere e nella rete, quando bloggano, si sentono in dovere di sfoderare fastidiosi toni colloquiali in prima persona, tipo «ho pensato che», «mi arriva una telefonata da ». Ma fai il tuo mestiere, viene da dire: dammi le notizie e il loro contesto, ché delle tue telefonate mi importa assai.
Sono “quasi” d’accorso con Carlini. Però volevo ricordargli che,come scriveva Sarotri nel 1945, la democrazia è sopratutto una guerra di parole. Essa è efficiente solo quano le idee, le opinioni, i punti di vista sedimentano e circolano nello spazio pubblico. Ipso….
quantomeno l’articolo di carlini va suscitando discussioni a iosa in giro, con le tipiche reazioni arruffate della blogosfera piu’, come dire, politicamente conservatrice — eppure mi e’ sembrato che stavolta non fosse affatto in ballo la solita sterile contrapposizione tra blogger e giornalisti, ma, appunto, l’ampliamento dello spazio pubblico e del discorso democratico, l’annotazione del possibile spostamento dei rapporti di potere comunicativi
percorsi possibili se, appunto, la si smette con un giornalismo ridotto a personalismo sparato e con gadget/mode effimere online, perche’ entrambi gli aspetti fanno (e devono far) parte dello spazio pubblico dove circolano i punti di vista diversi