L’insostenibile leggerezza dei new-media
E’ di pochi giorni or sono, in una analisi presentata al Senato sul crollo dell’economia finanziaria di assalto, uno dei pilastri del moderno capitalismo, la dichiarazione del ministro Tremonti secondo cui i residui di tale crollo (i famosi “derivati”) ammonterebbero a 12,5 volte il PIL mondiale. Sarebbe a dire che la quantità di immondizia che sovrasta a tutt’oggi il sistema economico e finanziario mondiale, è una montagna di cui non si vede la cima. O per meglio dire, un pozzo senza fondo.
Mentre non è da ieri, e dalla sua partecipazione alla trasmissione televisiva Anno Zero, che Tremonti attacca in maniera palese il processo di globalizzazione che ha investito l’economia mondiale negli ultimi quindici anni: troppo veloce e troppo incontrollato per essere sostenibile. Un processo di crescita che non poteva non generare squilibri colossali, come quelli con cui ora ci tocca fare i conti.
E non a caso, nella stessa trasmissione, si parlava della crisi dell’Alfa Romeo di Pomigliano, vittima dello stesso processo: accade quindi che, nella logica di questo capitalismo sconclusionato, i poveri del mondo si trovino in guerra tra di loro per sopravvivere, continuando ad essere i produttori della ricchezza di pochi.
Gli operai di Pomigliano debbono guardare il loro stabilimento chiudere, mentre altri operai, in Polonia, producono le automobili che la Fiat avrebbe dovuto costruire a Pomigliano, per un terzo dello stipendio “Italiano”.
Ma che c’entra tutto questo con i “new-media” (se così si possono ancora definire)?
C’entra . Trust me!!!
In qualche modo sono lo specchio della situazione attuale: ma concausa o prodotto secondario?
Molto interessante l’analisi di questa comunicazione sempre più leggera, veloce ed autoreferenziale, fatta ieri dal New York Times e riportata dal blog di Bernardo Parrella.
Ci troviamo dinanzi ad una informazione rapida, rapidissima, twitterizzata che coinvolge tutti ed in qualsiasi momento. Ma di tutta questa produzione quotidiana, di interazione e comunicazione, cosa alla fine resta?
E’ molto bello, in tal senso, l’analisi di Nicholas Carr su “the Atlantic” di Luglio/Agosto 2008 e sapientemente tradotta e riportata su Yurait Social Blog da Mario Squarotti.
C’è un modo di pensare che sta cambiando, sempre più velocemente. Sempre più lieve è la presenza della nostra attenzione alle cose, il livello della concentrazione, della analisi e della partecipazione.
E un mondo disastrato, in cui l’informazione è gestita e condizionata in maniera sempre più forte, ha bisogno di notizie “anestetiche”, di meccanismi dove l’energia del mondo “reale” venga scaricata in formato elettronico, ma in maniera tale da divenire “inoffensiva”: ovvero la rete non diviene il luogo dove l’incontro delle intenzioni produce l’iniziativa e l’alternativa, bensì il luogo dove le frustrazioni vengono consumate lentamente senza soluzione di continuità, privandole man mano della propria carica energetica, rendendole quindi “inoffensive”.
Non è un caso che, uno degli ultimi algoritmi di successo di Facebook sia rappresentato dalla manina col pollice alzato “mi piace” che ci risparmia ulteriormente l’onere del già breve commento. Tutto viene esaurito e consumato con la velocità di un “clic”. Non c’è interlocuzione e non c’è dialogo.
E non è un caso che dietro questa degenerazione dell’interazione ci sia un’operazione economica: facebook starebbe organizzandosi per vendere informazioni commerciali alle aziende, sui gradimenti e le opinioni dei propri utenti.
I media tradizionali, molto più facilmente gestibili, hanno da tempo acquisito il connotato della leggerezza: la tv spazzatura dove i comportamenti più degenerati vengono esposti senza pudore subdolamente suggerendo una livellazione culturale verso il basso, i reality che con la realtà hanno molto poco a che vedere e che trasformano sentimenti ed emozioni in spettacolo, fiction, distruggendone la matrice valoriale e la frivolezza del “cogli l’attimo”, ci sta lasciando scorrere addosso tragedie umane ed economiche sin ora mai viste.
Un disastro economico e finanziario, come quello che viviamo in questi mesi, non sarebbe stato “tollerabile” se non fosse stato così fortemente e costantemente “anestetizzato”, addormentando le nostre coscienze con anestesia generale.
Mi dispiace Antonio…ma il tuo giudizio/analisi mi appare riduttivo. Non puoi chiudere i new media (ora non più tanto new) a Facebook e al simboletto “apprezza”.
Non mi stancherò mai di dirlo…FB è solo un fenomeno quantitativo e non si può fare valutazione di ordine qualitativo. Inoltre non contempli la molteplicità di piattaforme tecniche e spazi di discussione che proliferano in rete. Sei lontano dal poter tirare conclusioni così avventate.
Appena organizzo le idee cercherò di spiegarmi meglio.
Bene Tommaso, attendo le “motivazioni” della sentenza.
Atteso che, ovviamente, la mia analisi è molto “angolare”, ovvero messa sù per valutare esclusivamente un determinato aspetto della comunicazione veloce e labile di questi ultimi tempi (come i link ed i riferimenti riportati), mi aspetto poi che il giudizio che articolerai in seguito non prescinda da questa prospettiva, altrimenti distorcendone la visione.
>A proposito di comunicazione "leggera" e relative analisi suggerisco
l’ articolo di Bernardo Parrella sul Social Blog dal titolo: "Prosegue
l’abbraccio Obama-Rete, tra rischi, ostacoli e…"