Note sul populismo
da “La ragione populista” di Ernesto Laclau, 2008, pp. 13-14
L’ideologia può essere distinta dalla retorica di un’azione politica solo se intendiamo quest’ultima come un mero ornamento linguistico che non veicola in alcun modo il contenuto trasmesso. Questa è l’idea classica di retorica, distinta qui dalla logica. L’equivalente sociologico di ciò che si oppone alla retorica sono allora gli attori sociali concepiti come soggetti che si identificano con interessi ben definiti, negoziati razionalmente con un milieu esterno. Per una simile versione della società, l’immagine di agenti sociali la cui identità sia costruita attorno a simboli populisti non può che essere espressione di irrazionalità. La denigrazione etica è infatti condivisa da gran parte della letteratura sul populismo. Cosa succede, nondimeno, se il campo della logica fallisce nel costruire se stesso come un ordine chiuso, e gli accorgimenti retorici diventano necessari per ottenere tale chiusura? In tal caso, dispositivi retorici come la metafora, la metonimia, la sinnedoche, la catacresi diventano strumenti di una razionalità sociale allargata, e non possiamo più rigettare un’interpellanza ideologica come meramente retorica. Parimenti, non possiamo più mettere da parte con tanta facilità l’imprecisione e la vuotezza dei simboli politici populisti: tutto comincia a dipendere dall’atto performativo che questa vuotezza comunque innesca. Quindi […] se con operazioni retoriche si costituiscono vaste identità popolari, a cavallo di vari settori della popolazione, ciò significa che si costituiscono a tutti gli effetti dei soggetti populisti – e che non si può ridurre ciò a une mera operazione retorica. Lungi dall’essere un parassita dell’ideologia, la retorica restituisce a conti fatti l’anatomia del mondo ideologico. Lo stesso dicasi della distinzione tra ideologia e movimento. A partire dalle parole di Minuouge, Lacau ci avverte del pericolo che si corre, analizzando un movimento, di appiattirsi sulla sua ideologia. Ma come è possibile separare l’ideologia dal movimento in maniera tanto netta? La distinzione stessa ne fa venire subito in mente un’altra più vecchia, tra idee del popolo e le azioni a cui esso prende parte. Una distinzione del tutto fallace. Sin da Wittgenstein sappiamo che i giochi linguistici comprendono sia scambi linguistici sia azioni, e la teoria degli speech acts ha dato nuovo impulso agli studi sulle sequenze discorsive che compongono la vita sociale istituzionalizzata. […] Da questo punto di vista, la distinzione tra un movimento e la sua ideologia è irrilevante, se non addirittura priva di senso. Ciò che davvero conta è la determinazione delle sequenze discorsive grazie alle quali una forza sociale o un movimento porta avanti la sua complessiva performance politica.