Quel pasticciaccio brutto del sistema elettorale campano
Pari opportunità, dare maggiore spazio alle donne in politica, qualcuno l’ha definita una rilettura delle quote rosa, altri ancora hanno dichiarato che con questa legge ci sarà una maggiore rappresentanza di donne nel consiglio regionale campano. Queste più o meno le parole spese nell’ultimo anno intorno alla legge elettorale n° 4 del 27 marzo 2009 che accompagnerà il voto regionale campano il prossimo 28 e 29 marzo.
E in effetti nella forma, o meglio sulla carta, tale legge elettorale rimanda ad una svolta istituzionale di tipo culturale. Basta ad esempio riprendere qualche passaggio per poter abbracciare in pieno le opinioni che su tale sistema sono state espresse negli ultimi mesi.
Come ad esempio l’art. 4 comma 3, forse il più rappresentativo della nuova legge elettorale, che recita: Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza. Oppure all’art. 10 dove si fa riferimento alla rappresentanza di genere anche sotto il profilo mediatico: in occasione delle elezioni regionali, i soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica offerti dalle emittenti radiotelevisive pubbliche e private e, per quanto riguarda i messaggi autogestiti previsti dalla vigente normativa sulle campagne elettorali. E ancora all’art. 5 comma 3, in ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai 2/3 dei candidati, pena la sua inammissibilità.
La lettura di un siffatto sistema elettorale ha dalla sua una carica simbolica e valoriale che porta inevitabilmente a facili entusiasmi. In effetti, il ricorso alla architettura istituzionale per una maggiore rappresentanza di genere può essere accolta come una “vittoria” a favore delle pari opportunità in politica, ma a poco più di tre settimana dalla presentazione delle liste i limiti di una tale procedura elettorale si sono palesati ancor prima di vedere il risultato delle urne.
Una prima osservazione va fatta in seno ai partiti. Già da qualche settimana prima della consegna e della pubblicazione delle liste nelle varie segreterie regionali di partito si è avvertita l’esigenza di fornire una programmazione elettorale che tenesse conto del meccanismo della doppia preferenza. In generale la scelta che è emersa da ogni partito è stata quella di procedere per accoppiamenti: ad ogni candidato maschio è stato affiancato una candidata femmina in modo da favorire la presenza e la visibilità delle donne in quasi tutti i comuni della regione.
Il timore che però si ha a pochi giorni dal voto è che la ratio di questo sistema elettorale dovrà fare i conti con quella che è di fatto il naturale svolgimento di una campagna elettorale.
Quindi la domanda è d’obbligo: ma siamo proprio sicuri che tale legge favorirà la rappresentanza femminile al consiglio regionale?
Mi risulta difficile credere che i candidati di genere maschile, tranne che in rare eccezioni, spendano parte della propria campagna elettorale (dei propri soldi, del proprio tempo, dei propri voti) a favore di un possibile avversario alla poltrona di consigliere regionale. La logica personale che accompagna la campagna elettorale di questi ultimi anni prescinde dai partiti e, cosa ancor più sana, dalle pari opportunità.
E’ vero, i casi variano da candidato a candidato, da lista a lista, da partito a partito. Non è possibile immaginare che il Ministro Carfagna debba chiedere voti a qualche maschietto della sua lista. Lo stesso dicasi per la Mussolini o la Lonardo nella provincia di Benevento.
Molte donne candidate al consiglio si ritrovano invece a dover “elemosinare” appoggi politici e ad assumere anche conflitti interni al proprio partito pur di arrivare con quel candidato forte in quel particolare comune.
Un gioco che potrebbe avere un effetto al ribasso per tutte le candidature femminili, di tutte le liste e di tutte le province.
Ovviamente saranno le urne a darci la risposta ma a quanto pare si è calcolata una legge sulla base della rappresentanza senza tenere conto di questioni come le leadership elettorali e politiche locali ancora saldamente nelle mani degli uomini, basta vedere i risultati elettorali delle ultime tornate elettorali nella Regione Campania e i posti dirigenziali locali dei vari partiti.
Le donne in questa competizione elettorale hanno per ora un vantaggio sul piano simbolico che va riconosciuto e legittimato ma la la ragione politica ed elettorale ci porta ad affermare che al prossimo consiglio regionale della Campania le donne anche per questo quinquennio non saranno ancora la tanto agoniata altra metà del cielo.
Il pasticciaccio delle quote rosa direi, ridicola messa in scena di un’apertura della politica alle competenze femminili. Competenze che non sempre sono presenti in entrambe le “metà del cielo”, sia chiaro.
Le quote rosa risultano, paradossalmente, un passo indietro verso la parità in quanto, attraverso l’imposizione, palesano l’enorme disparità e discriminazione nei confronti delle donne, non solo nell’ambito istituzionale-politico.
Gli strumenti ed i metodi utilizzati in campagna elettorale sono i medesimi per i due generi, ma questo fa parte dei giochi elettorali, nulla di nuovo.
Questo sistema elettorale sembra la metafora di quanto accade quotidianamente nelle diverse sfere alle quali partecipano le donne: devono essere supportate, suggerite, portate per mano dai colleghi maschi i quali, a loro volta, utilizzano uno pseudo-femminismo per mostrarsi democratici…ma guai a minacciare il loro piccolo potere, conquistato anche grazie alla fatica di fingersi felici per le colleghe…
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