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La Storia Infinita

I commenti post-elettorali si sprecano. Più o meno dotte riflessioni su chi ha vinto e chi ha perso,  ragioni e non-ragioni riempiono i giornali di fiumi di inchiostro. Vien voglia di demonizzare il voto e prendersela con gli italiani che sono antropologicamente cambiati, così cambiati da mettere a pane ed acqua dei bambini in un asilo, capaci di ridere se un terremoto sconquassa l’Abruzzo, capaci di pensare che «se l’è voluta lui» se un immigrato viene pestato a sangue, se ad un senzatetto viene dato fuoco, se una ragazzina maghrebinea viene violentata in classe dai suoi stessi compagni. E certo…chi ha detto loro di venire in Italia! Se ne stavano a casa loro questi qui!…

Cruciani nella sua trasmissione radio La Zanzara su radio 24 dà voce ogni sera – per ore – a questa Italia minuscola, piccola nel pensiero e gretta nelle parole: ogni sera si delinea uno spaccato di un’Italia senza visione, senza un disegno del futuro, parrocchiale, senza un’idea del mondo che vorremmo, un’Italia capace di discutere per ore sullo stipendio rubato delle maestrine (quasi tutte meridionali) che hanno tante più vacanze degli altri. Un paese che non sa, e non sapendo ritiene di dover discettare di tutto, trasformando i propri pregiudizi in opinioni. Un paese prigioniero del grande fratello e del televoto che dilaga in ogni format – dalla televisione al giornale –   trasformando ciascuno in protagonista di qualche minuscola cosa, tutta la vita in un referendum con alternative a somma zero si/no e tutta la politica in politica locale. La tv porta dentro casa la politica – rimasta una delle poche narrazioni collettive, dopo lo sport – e porta ciascuno di noi dentro la politica, compagni di merenda di illustri leader con i quali ci illudiamo di condividere onori e glorie. Le elezioni si sono trasformate in festose sagre di paese dove ogni vecchietta ed ogni macellaio ha il suo bravo mazzetto di santini politici da distribuire, non importa di che partito sia, l’importante è che sia un amico di un amico, un parente di un parente, non importa se all’occorrenza nemmeno si ricorderà di noi, l’importante è contribuire alla grande finzione, al grande fratello in cui anche noi siamo protagonisti attivi. E se il leader si fa una storia di sesso con una escort, con un trans, se ruba, corrompe, sgomita per il potere ma lo fa con carattere, convinzione, magari anche con un bel gran sorriso allora vince la puntata e non sarà per questa volta “nominato”.

Siamo così antropologicamente cambiati che gli unici a poter soddisfare la pancia del nostro paese sono i partiti populisti: la lega, il pdl, il movimento cinque stelle di Grillo, il partito di Di Pietro? O forse “popolino” siamo stati sempre e quella dei grandi partiti di massa, ideologicamente organizzati, sono stati solo una parentesi nel ciclo lungo della storia? Merito ai vincitori ed onore ai caduti, di una guerra destinata ad essere persa, sempre, se non si inverte presto e subito la rotta di questa barca-paese che ha imbarcato di tutto e che rischia di affondare, incantata dalle sirene e spinta dal vento del qualunquismo. Voglio una destra con un progetto politico, moderna e rispettosa delle istituzioni, voglio una sinistra coraggiosa, moderna e meno pressata dalla propria nomenclatura. E voglio un paese libero da questa atmosfera da fin de siécle, in cui tutti arraffano tutto, come se fosse l’ultimo giorno del mondo. E tale sarà, ogni giorno, se non recuperiamo il  paese al centro della nostra Storia Infinita.

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7 commenti

  1. tania melchionna ha detto:

    Cara Rosanna,
    dopo la sensazione di già visto di lunedì pomeriggio, oggi ho la sensazione di dovermi mettere a lavorare con più convinzione e coraggio di prima, per questo nostro Paese nel quale non mi riconosco come te.
    L’occidente è in una fase di profonda decadenza, e pultroppo noi stiamo vivendo in questi anni grigi, ne bianchi ne neri, senza grandi passioni e nemmeno emozioni.
    Ma la domanda ora sorge spontanea. Come si fa ad andare contro corrente?
    Io salmone non mi sono mai sentita. Eppure qualcosa per navigare il fiume contro bisognerà inventarsela…
    Cominciamo dalle case in pietra bianca nel Molise dove ritirarsi e creare comunità di pratiche meno metropolitane ma più produttive?
    Chi lo sa vedrà.

  2. Rosanna De Rosa ha detto:

    Hirschman aveva distinto le forme di coinvolgimento sociale in tre modalità: Voice, loyalty ed exit. Il momento della “Voice” l’ho sperimentato in gioventù con le mie piccole battaglie contro le disuguaglianze di genere e sociali, per una maggiore consapevolezza ambientale. La mia “Voice“ era piccolina ma efficace ed un pò intorno a me le cose le ho cambiate. Poi sono passata alla fase di “Loyalty” mantenendomi fedele ad un’idea politica e turandomi il naso tante volte per un bene ed una visione del mondo più grande. Ora la exit strategy è quella che sento di desiderare di più, una forma di disincanto totale ed il desiderio di sperimentare un nuovo inizio, una nuova verità come “Into the Wild”. So bene che anche tu stai riflettendo su questo punto. Beh mi sono chiesta tante volte se il rifugio in campagna potesse rappresentare per me una forma di exit strategy. Ci penso da mesi, mi interrogo, mi chiedo se è davvero così e se è una resa. Non ho ancora una risposta…ma credo che in una condizione di maggiore sintonia con la natura si venga a maturare anche una maggiore intolleranza verso l’artificio. Per ritrovare, spero, più forza…nelle piccole guerre quotidiane.

  3. Paolo Landri ha detto:

    Carissime, effettivamente ci attendono tempi tristi e forte è il desiderio di mollare, magari ritagliandosi degli spazi in campagna (ma anche al mare o in montagna, perchè no…). Credo, però, che in fondo gli italiani siano sempre gli stessi, sono solo diventati più “paurosi” (della crisi, degli stranieri, della vecchiaia etc.) e quindi si sono buttati a destra, nella semplificazione delle cose in un mondo che non capiscono o che capiscono troppo bene. La sinistra (il centro-sinistra) è troppo complicata e spesso non riesce a comunicare, convincere e a creare identificazione (si direbbe che ha disimparato a ‘fare comunità’). Qualche tempo fa in un famoso articolo Pizzorno se non ricordo male che in fondo ci sono due modelli dell’elettore: la scelta razionale e la scelta per (re)identificazione. Credo che questo ragionamento ci consenta di capire alcune scelte elettorali: come si fa altrimenti a comprendere l’abnorme numero di preferenze dato alla Carfagna ? E’ un’identità vincente che tutti/e vogliono imitare. Dalle nostre parti con cui ci si può identificare ? Sicuramente, De Luca è un’identità poco affidabile dal punto di vista del centro-sinistra e votare per lui, è stato per me possibile solo attraverso un complicato calcolo razionale ! Ma si può chiedere a tutti di seguire questi ragionamenti, o vogliamo rispolverare l’antica scorciatoia della falsa coscienza, come se qualche parte qualcuno avesse la vera coscienza ? Ora che fare ? Credo che dobbiamo avere la capacità di un nuovo inizio, di una nuova (ri)nascita a la Arendt nella quale poter metter a frutto quel poco di sociologia e di politologia che abbiamo imparato e sperare di convincere gli altri che ne vale la pena.

  4. Valentina ha detto:

    Il punto è cruciale. E quello che sento di dire dal profondo è: beato chi ha la sensazione di aver vissuto un’epoca in cui le strategie di Hirschman erano reali. Il dramma oggi è proprio che queste categorie hanno perso di spessore… guadagnando fluidità. La scelta è tra: esprimere una Voice afona, o se va bene rauca; affidarsi alla loyalty, ma senza sapere a chi rivolgerla credibilmente – il partito comunista in fondo non lo abbiamo mai conosciuto di persona e la prima volta che votavamo era già in era berlusconiana – e allora ecco che viene la exit, che in genere si esprime con l’espatrio. Oltretutto, la questione è che ognuna di queste scelte, già tiepide nella loro formulazione, non è mai sentita come definitiva, al contrario, forse, di chi giusto prima di noi sentiva come definitiva e assoluta ogni scelta.
    Pur avendo oramai a noia la liquidità, non posso che avere esattamente quella sensazione… un fluido scorrere delle coscienze tra una debole loyalty – che può anche rivolgersi ora ad una, ora ad un’altra unità di appartenenza, da quella politica a quella etica a quella lavorativa – una voice non finalizzata – mi pare appropriata la metafora del ‘cane di cancello’, che vede solo quel breve passaggio delle persone davanti a sé e quindi abbaia fino a che quelle, veloci, non scompaiano per far tornare muta la grata di ferro – ed una exit priva di vere motivazioni – che rende apolidi più che espatriati.

  5. ros ha detto:

    Vale hai ragione. Anche quelle che si ritenevano delle determinanti della partecipazione politica sono ora prive di senso.

  6. CATERINA ha detto:

    Porgo una carezza sulla guancia di chi dolorante commenta un presente davvero insolito e inaspettato; porgo un abbraccio a chi ha fatto tanto per cambiare una realtà difficile che aveva bisogno di buoni esempi e di persone corrette pronte a creare spazi per un futuro più sereno; porgo una stretta di mano a chi ha avuto il coraggio di non salire sul carro del vincitore ma è rimasto con i piedi ben fissati nel terreno per difendere quei valori che costituiscono la sua ragione di vita; tendo le mani a chi come me ha voglia ancora di sperare e nel suo piccolo cerca di cambiare le cose e non cessa di essere esempio per altri che esempi non hanno, vi invito a non lasciare le mie mani vuote ma di regalarmi il calore delle vostre mani.Con tanta stima e affetto a tutti voi che avete ancora tanto da dare.

  7. Salvatore Esposito ha detto:

    Commento solo ora questo post perchè prima non ce l’ho fatta. Non ce l’ho fatta perchè le riflessioni qui proposte – all’indomani di una nuova batosta elettorale – le ho trovate, ad una prima lettura, troppo forti. Non ho nulla da aggiungere a quanto sollevato. Però una domanda c’è. Che fare?
    Ancora una nuova delusione, e sempre più non mi riconsco nel mio Paese. Mi sento di apparenere ad una generazione che non può guardare indietro – come fa Rosanna De Rosa – e rivedersi nella sua fase “Voice” o “Loyalty”, e che, se guarda al presente, non vede neppure una “Exit strategy”. Poco più che ventenne mi ritrovo senza bussola come i cafoni raccontati da Ignazio Silone nel suo splendido romanzo Fontamara.
    «Hanno ammazzato Berardo Viola, che fare?»; «Ci han tolta l’acqua, che fare?»; «11 prete si rifiuta di seppellire i nostri morti, che fare?»

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