Il morto non scappa, resta lì
Stamattina un commento di Andrea Ciambra su uno status, dove riflettevo sulla “monnezza” di Barbato e la chiusura del ventennio ormai alle porte, diceva così: “Qui ci scappa il morto!”.
Mi son detto che Ciambra ha ragione ed ho inevitabilmente ricordato.
Era il mese di Luglio del 2001, leggevo la Repubblica e vi trovai un articolo di Adriano Sofri dal titolo “Quel coraggio della non violenza” dove si chiedeva l’etimologia della locuzione “qui ci scappa il morto”. Al tempo il riferimento era rivolto alla elevata tensione sociale e politica venutasi a creare in occasione del G8 di Genova. Preoccupazione poi realizzatasi nei fatti, lasciando a terra Carlo Giuliani. Stamattina rileggendo i quotidiani e vedendo gli studenti accerchiare il Senato ho innanzitutto notato che le icone della “presa della Bastiglia” o della “conquista del Palazzo d’Inverno” hanno ancora una loro forza. Subito dopo ho pensato ad una emulazione di quella avvenuta qualche giorno fa dagli studenti inglesi a scapito della sede dei Tory a Londra. Riflettendo però mi sono accorto di fare lo stesso errore al quale faceva riferimento Sofri. Presi dalla smania della interpretazione, della discussione sulla notizia, della spiegazione sociale, dalla ricerca di motivazione perdiamo di vista il punto sostanziale: il tono della protesta.
Non credo che questo ventennio finirà con Barbato che porta sacchi della spazzatura in Parlamento, come non credo che l’accerchiamento del Senato sia un atto isolato. Lo scotto da pagare potrà essere più alto. Con le parole di Sofri: “IL MORTO ci può scappare, e può essere un manifestante, un poliziotto, o uno che passava di là. Uno di cui si saprà il nome, e quel nome peserà.”
Ma alla fine chi scappa saranno gli altri. Il morto non scappa, resta lì.