Non ho molto da dire…
…ed in certe circostanze meglio tacere. I pensieri affollano la mente e sensazioni contrastanti impediscono un ragionare sereno, dando magari maggiore spazio al linguaggio del corpo. Ed il mio corpo – in questo lungo assurdo periodo – ha preso a vegetare come una pianta in attesa della primavera. A volte provo a mettere in fila tre pensieri seri di analisi politica ma mi vengono sgangherati come se avessero perso il proprio ancoraggio alla disciplina. E mentre io taccio mi sento sommersa da un fiume di parole, un chiacchiericcio continuo e senza soluzione di continuità, i toni sono sempre alti e concitati, ed è come se si fosse compressi in una massa di persone in cui nessuno si muove veramente – con un moto autonomo – ma tutti sono trascinati, inermi, dalla forza di inerzia. La mia voce in questo contesto si aggiungerebbe a tutte le altre e – inascoltata – contribuirebbe ad aggiungere rumore al rumore. Il senso di disagio sta diventando così forte che intravedo intorno a me chiari segni di sofferenza claustrofobica e desiderio – animale – di liberazione. Oggi mi trovavo in un taxi imbottigliato nel traffico. Una vecchia macchina, di un vecchio colore, guidato da un vecchio signore improvvisamente è diventato il capro espiatorio di tutto il nervosismo possibile. Levate di clacson sono partite d’ogni dove con una cacofonia di suoni e rumori da impazzire. La vecchia macchina, di quel vecchio colore e di quel vecchio signore sembrava intralciasse un qualche movimento che, in realtà, non c’era affatto. Un paio di minuti di impazzimento. Poi il vecchio signore, con la vecchia macchina ha aperto la portiera, si è sollevato fuori ed ha urlato con tutta la forza che aveva in gola un liberatorio: mavaffanculo!
Non lo ha urlato a qualcuno in particolare, lo ha urlato al mondo. Anche se il mondo non stava ad ascoltarlo. Sembrava chiedesse che il non-sense avesse fine invocando il diritto al silenzio ed alla lentezza. E da questa riflessione potrei partire per sorvolare su Mario Monicelli e i suoi liberatori schiaffi per chiedere – subito dopo – di ritrovare la via per dire – con il tempo che merita – cosa ci passa dentro l’anima. Laddove non risiede Berlusconi, né la Gelmini, Assange né Saviano. Non risiede Fini né Vendola. Laddove non ci sono ventriloqui per la nostra voce. Possiamo (ri)configurare una sfera pubblica degna di questo nome, se quella privata torna ad essere dispiegata in profondità. Pensateci..
Lucy, amica mia, tu avresti capito..
Ma si capisce.
Sequenze, sistemi passanti, concentrati di esperienza in scatola, costruzioni leggere di identità. Stiamo diventando anfibi sulla superficie del mondo. Ci piace davvero?
due suggestioni che mi saltano alla mente. pensiero automatico.
1) l’ultimo mio giorno trascorso a genova. meta’ settembre. giornata piacevole, di sole ma non troppo calda. prendo l’auto epr andare in centro (non guido quasi piu’). un’ora all’incirca di eprcorso tra andata e ritorno e ben quattro, dico quattro, liti furibonde tra autisti attorno a me. la giornata perde leggerezza e piacere. diviene un tranquillo pomeriggio di rancore. e mestizia.
2) la politica, come si diceva recentemente, e’ noiosa. deve esserlo. e’ il prezzo da pagare. e silenziosa. la politica fa, e viene valutata. la politica italiana ha pero’ una caratteristica: e’ divertente. estrememente. anzi, “entertaining”. e questo e’ un problema, perche’ le azioni e i giudizi si confondono con i talk show e le “scottanti novita’” in una lunga commedia buffa. e mesta.
e’ forse questa la dimensione dell’italianita’? un romantico eroismo, dove la normalita’ del reale viene sistematicamente rifuggita per inseguire lo straodrinario, il sogno, il grandioso miracolo! anche a costo di precipitare in un feroce ed atroce incubo… quale mestizia.
Capisco ciò che intendi perchè faccio esperienza quotidiana del rumore indisciplinato e rabbioso, colonna sonora delle nostre giornate quando attraversiamo, senza nemmeno sfiorarlo, il mondo circostante. Il senso di impotenza o peggio di estraneità verso le cose, le persone, il pubblico, il collettivo, sono compagni assidui dei miei spostamenti sia fisici che mentali. Non so se sono fotografie di ciò che è o alibi per giustificare il disimpegno, quel ripiegamento su sè nemico di ogni riscatto sociale e morale, non lo so proprio. So che paradossalmente quella indifferenza latente che indossiamo come impermeabile per lasciar scivolare addosso tempeste di parole e di insofferenze altrui ben lungi dal rappresentare un rifugio, diventa gabbia nella quale ci muoviamo senza senso. Soli con noi stessi con la fatica di troppe domande da porre e terrore genuino per le risposte da cercare. Hai colto bene il punto, è il privato che ci condanna alla fuga perenne da ogni cosa.
Scrivi troppo bene Rosaria! Ti rinnovo l’invito a scrivere per noi 😉
Cara Ros, l’unica possibilità che abbiamo per disintossicarci dal caos che regna dentro e fuori di noi è quello di approdare ad un’isola felice:una baita a Bielmonte come una casetta in collina:è uguale. Quando avremo conquistato il “silenzio” attorno a noi, cercheremo la voce dei nostri pensieri e la ascolteremo. Cercheremo di custodire questa sensazione di pace e rilassato pensare;illudendoci di poterla richiamare dentro di noi -al bisogno- ma , ripeto, illudendoci.
Scusate ma non posso esimermi dall’inviare un bacio a Rosanna.
Alberto