Discutere di guerra
E’ curioso notare quale tipo di discussione e dibattito riesce ad innescare il tema “guerra”. I punti politici tirati in ballo, le argomentazioni usate per supportare l’intervento, la scioltezza linguistica con la quale si discute di civili morti, di approvvigionamenti o di bombardamenti. E’ interessante osservare questa dinamica di confronto perché presenta tratti inediti, come ad esempio la volontà – cinica – di perseguire un obiettivo collettivo (scalzare Gheddafi) considerando tutto il resto, comprese le vite umane, come un argomento che fa da sfondo, secondario rispetto all’esigenza di donare la libertà ai popoli libici. Qualcuno mi dirà, cosa c’è di nuovo? Di fatto nulla, la rappresentazione del “dittatore che va cacciato” non è nuova e non presenta particolari caratteristiche linguistiche.
C’è però una novità. Nel discorso politico sul tema guerra il linguaggio che è andato strutturandosi segue e persegue logiche binarie (o sei per la guerra o contro la guerra) che esulano dall’appartenenza politica o partitica e che mostrano un pragmatismo che definirei post-ideologico, se non addirittura personalistico.
Si può dunque facilmente incontrare e discutere con un “Rifondarolo” guerrafondaio, un pacifista interventista, un destrorso antimilitarista, un intellettuale bellicista. Il tutto a favore di un restringimento del vero dibattito con non pochi limiti all’effettiva comprensione del fenomeno.
Restringere il confronto ad una semplice contrapposizione verbale amico/nemico (tanto cara a Karl Schmitt) è di fatto un linguaggio mediatico che ha, come sommo limite, quello di non riuscire a rappresentare un ventaglio di posizioni più complesso oltre il bianco/nero, destra/sinistra, pace/guerra. Si potrebbe avanzare l’ipotesi di una sorta di linguaggio maggioritario, ma si rischierebbe di arricchire di elementi culturali il fenomeno che, di fatto, ha caratteristiche regressive più che evolutive.
Ah, dimenticavo. Nelle ultime settimane, pur di sfuggire dal binario linguistico creatosi, si è paventata una Terza Via, che francamente, con tutto lo sforzo e con grande empatia da parte mia, non ho ancora del tutto compreso.
Il linguaggio in tutte le sue manifestazioni oramai ricalca lo stile berlusconiano o per meglio dire del venditore, dovè tutto o è bianco o è nero.
PS: Ho la vaga impressione che la guerra in Libia non interessa quasi nessuno o per meglio dire oramai ricalcando un copione già conosciuto, non fa più notizia; diciamo che la persona normale la sta trattando come un reality, dove il format anno dopo anno perde smalto e per far riacquistare ascolti manda la Ventura sull’isola.