eCitizens si diventa
Nel corso del mio libro “Cittadini digitali. L’agire politico al tempo dei Social Media” ho provato a leggere le trasformazioni che si stanno registrano al cuore dei processi politici sia come il risultato evolutivo del potere trasformativo delle tecnologie che come una risposta strategica alle sfide imposte dalla crescente complessità sociale, che rende inadeguati e obsoleti attori, concetti e strumenti di decisione, aprendo la strada alla ricerca di nuovi paradigmi per istruire le scelte collettive. Nel capitolo eCitizens si diventa ricostruisco le linee principali del discorso democratico a oltre vent’anni dalle prime pubblicazioni sul rapporto tra democrazia e nuove tecnologie della comunicazione. Molte delle riflessioni del passato appaiono oggi distanti dagli effettivi sviluppi democratici della Rete. Le speranze di chi vedeva in essa uno spazio pubblico aperto e orientato a creare una strong democracy (Barber 1984) sono rimaste a lungo prive di riscontro empirico. Della nascita di un nuovo attore politico si parla, infatti, da molto tempo, da quando cioè ha avuto inizio la stagione dell’e-democracy. Ma sia i partiti che i parlamenti – depositari tradizionali della rappresentanza – si sono rivelati incapaci di interpretare e gestire le nuove sfide della e-citizenship.
Poi è arrivato l’e-government ad alimentare le aspettative di coniugare il livello top down con quello bottom up della politica, i cittadini con i governanti. Una stagione di forti attese ma scarsi risultati. Il desiderio di uniformare, codificare, standardizzare subito la telematica pubblica spegnerà sul nascere la già fragile propensione alla partecipazione. Così le reti civiche, fiore all’occhiello dei sindaci nella prima stagione dell’elezione diretta, si sono trovate spodestate, già prima di crescere, dalle più algide ma funzionali Città Digitali. Oggi nessuno ricorda più i contrasti e le lacerazioni che la messa alla porta delle reti civiche aveva provocato in quanti ci avevano creduto, investendo tempo e denaro ad attrezzare vecchi server e connessioni traballanti per fornire servizi di community a studenti, volontari, cittadini, tutti interessati a essere lì dove l’innovazione sociale si andava producendo. Il rammarico per l’occasione perduta è tuttavia mitigato dalla consapevolezza che quello che non si è ottenuto per via istituzionale è tornato a essere nuovamente a portata di mano per via sociale, facendo una strada più lunga e tortuosa, ma, allo stato dei fatti, più promettente.
I media sociali diventano così il contesto nel quale la politicità della Rete tende a essere finalmente tangibile. È in questo milieu che all’animale virtuale socializzato si riconosce la capacità di agire politicamente quale attore individuale e collettivo, appunto lo zoon politikon di Aristotele.
Così proprio quando andava affermandosi una generale riduzione delle aspettative circa il ruolo democratico di Internet, la storia prende invece un’altra piega.
Nel capitolo Zoon Politikon entrerò nel merito dell’agire politico in Rete, guardando ai repertori della partecipazione elettronica.
Si tratta di una partecipazione tecnologicamente assistita? Alimentata artificialmente come un malato le cui funzioni vitali sono molto compromesse? O, al contrario, stiamo assistendo alla nascita di una nuova forma di democrazia, potenziata nella sua capacità di risposta da estensioni elettroniche della partecipazione politica, e più saldamente ancorata a una nuova concezione di comunità? Mutando angolo d’osservazione, la domanda cruciale diventa se stiamo o meno assistendo al costituirsi in Rete di un nuovo attore politico alla luce del declino
(o, forse, sarebbe preferibile definirla una metamorfosi?) della tradizionale forma-partito.
Dopo secoli di autonomia del politico dal sociale, la socialità torna a essere nuovamente inscindibile dalla sua intrinseca politicità (Sartori 1990) e – per la sua dirompenza – il fenomeno entra a pieno titolo nella linea di riflessione politologica.
Si diventa popolo più che per una scelta consapevole, per un comportamento emergente cui segue un auto-riconoscimento come comunità epistemica e l’identificazione di problemi comuni le cui soluzioni derivano dalla disponibilità di accesso a un ampio patrimonio individuale di informazioni e conoscenza.
Di qui emerge poi la coscienza di sé come sé politico.
Una cultura partecipativa allenata, dunque, anche dal consumo di tecnologia, per gli elementi discorsivi che sono inscritti nel disegno tecnico e che si sono rivelati capaci di stimolare o reprimere specifiche pratiche mediali, come, per esempio, la condivisione. Il profilo di questo popolo ha spesso il caratteristico tratto liquido delle società cosiddette postmoderne: movimenti che durano quanto un battito d’ali e sono soggetti a riconfigurazioni continue intorno a nuovi temi. È il suo agire politico distribuito, emergente e finalizzato che fa della moltitudine che frequenta la Rete, un attore dotato di una coscienza politica – potremmo dire – “collettivizzata”.
Lentamente a questo stesso tipo di popolo viene riconosciuto l’esercizio di una diversa sovranità. È la nuova frontiera della democrazia in Rete.
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