L’insostenibile leggerezza della Politica. Il Movimento Cinque Stelle alla prova della Democrazia
Nel 2013 su Politicaonline.it facevo una lunga riflessione sul successo del M5S. Uno tsunami aveva sconquassato il panorama politico italiano facendo del movimento il primo partito. Le sorti del governo nascente erano legate ad una possibile alleanza fra la coalizione «Italia. Bene Comune» guidata da Bersani e il Movimento. In molti a sinistra intravidero la possibilità di un governo con i 5S che facesse del bene comune un fattore di convergenza forte, che traghettasse l’Italia fuori dalla crisi e che, soprattutto, realizzasse politiche di maggiore equità nella distribuzione della ricchezza. Nella verve contro-politica e contro-democratica, nel senso del significato che Rosanvallon aveva dato al concetto – quale «forma di democrazia che contrasta quella tradizionale, della democrazia dei poteri indiretti disseminati nel corpo sociale, della democrazia della diffidenza organizzata che fronteggia la democrazia fondata sulla legittimità elettorale» – vi leggevo la possibilità unica di cambiare dall’interno il linguaggio, le prassi, e le modalità del fare politica restituendo centralità e peso ai cittadini-elettori ed innovando la sinistra italiana. Nel 2013 – e di fronte alle macerie lasciate dal berlusconismo – ero certa che le sorti del paese valessero più della difesa della vulgata antisistema. Le cose andarono però diversamente. Lo streaming (allora tanto in voga) ci restituì l’immagine di una trattativa penosa, senza peli sulla lingua. Il M5S doveva necessariamente apparire inamovibile, non mostrare di scendere a patti né di nutrire segni di dubbio. Solo spingendo il Pd a cercare un accordo con il Pdl, il Movimento poteva far scoppiare le contraddizioni del sistema politico e dimostrare, senza più equivoci, il teorema della somiglianza. Tutti i partiti sono cioè sostanzialmente uguali perché hanno perpetuato sempre lo stesso meccanismo di generazione del potere: così Bersani è uguale a Monti, e uguale a Berlusconi. Condannando di fatto l’Italia ad una legislatura controversa sotto diversi punti di vista e con risultati in chiaroscuro.
Sono passati 5 anni, e la scena è la stessa ma a parti invertite. Troppa acqua è passata però sotto i ponti, fra alluvioni, terremoti e crisi umanitarie. E se ha giovato avere un governo “stabilizzato” che provasse a governare il caos, non ha giovato avere un’opposizione che su partite ugualmente importanti – soprattutto sui diritti civili – ha spesso tradito le aspettative lasciando la sinistra a marcare le differenze.
Oggi le parti sono invertite. Al contro-potere del M5S è richiesto quel profilo istituzionale che si addice ad una forza di governo. Mentre il boccino della responsabilità passa nelle mani di Renzi, che può esercitare il piacere di essere l’ago della bilancia, consegnando di fatto al movimento non solo una vittoria di Pirro, ma anche lo sforzo della Politica, quale arte del compromesso, condizione per cui la ricerca del consenso non è una parolaccia, ma la sostanza stessa di cui è fatta la democrazia. Ma saprà il movimento passare dall’organizzazione tecnologica della sfiducia all’organizzazione politica della fiducia? La domanda non è peregrina perché, a dispetto delle apparenze, il movimento predica proporzionale ma pratica maggioritario. Cancellando le impronte dal terreno su cui esso stesso cammina.