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15/11/2004
Arrivederci, e grazie a tutti!
A oltre un mese dal lancio, tiriamo il sipario su questo spazio. Con un doveroso e caldo ringraziamento a tutti coloro che vi hanno variamente contribuito. E notando come l?articolata serie di interventi pubblicati abbia dato spessore e concretezza a questo riuscito esperimento collettivo intorno alle presidenziali USA, fornendo uno stimolante banco di prova per analoghi blog-lab in futuro. Ovviamente il materiale prodotto rimarr? qui come archivio di dominio pubblico, e stiamo anzi cercando di rilanciarlo come prodotto editoriale – onde raggiungere un pubblico pi? vasto e ribadire l?importanza di simili esperimenti per la cultura e l?informazione politica odierne.
Mille grazie a tutti voi, e torniamo pure al blog-madre Politica Online.
11/11/2004
Il risultato delle urne: il sollievo elettorale
Storicamente i presidenti americani hanno sempre sfruttato i primi quattro anni per aumentare consenso e popolarit?, come se l’obiettivo primario fosse da subito quello della rielezione. E’ invece nel secondo mandato che hanno dato corpo alle loro principali iniziative politiche. Lo ha fatto Clinton con la riforma sanitaria e la sottoscrizione del protocollo di Kyoto. Lo far? Bush, come sostiene anche l’editorialista di Le Figaro Pierre Rousselin, ancor pi? con la sua forte legittimazione popolare e con l’appoggio del Congresso.
Sar? anche per questo che da pi? parti affiora la sensazione che il Bush-bis sar? pi? soft del primo mandato. Meno guerrafondaio, forse anche pi? solido politicamente. (continua…)
9/11/2004
Il dopo Bush e la sinistra italiana
La vittoria del centrosinistra nelle elezioni politiche del 2006 non ? affatto scontata. Il rischio viene da un redivivo berlusconismo rivisto in chiave statunitense. Il tentativo cio? della destra di superare il suo fallimento politico, strumentalizzando l’incertezza e la paura frutto del progresso scientifico, dell’evoluzione sociale e del contesto internazionale. E’ un rischio reale. Bush ha vinto per una regola difficile da digerire ma sacrosanta: la politica ? passione, e i giudizi morali sono asserviti a tali passioni. La politica ha a che fare con i sentimenti, e le preferenze per un leader non si basano sulla conoscenza dei fatti. La vicenda Bush dimostra come la razionalit? non paga in politica, e questo soprattutto oggi. Ecco perche’, per vincere le elezioni, alla sinistra non baster? fare l’elenco delle malefatte del governo Berlusconi o delle mancate promesse. Oltre ad inchiodare Berlusconi alle sue responsabilit?, la sinistra dovr? essere in grado di rispondere alle nuove tensioni che attraversano la societ?, e smorzare l’integralismo, dando alla societ? il coraggio e la fiducia di ricominciare a credere in se stessa. (continua…)
8/11/2004
Un’ultima considerazione sugli exit polls…
L’esito di queste elezioni ha dunque confermato la fallacia dei sondaggi? Gli exit polls hanno ribadito la loro incapacit? di prevedere correttamente il risultato dello scrutinio? Di nuovo le agenzie di sondaggio hanno dimostrano la poca professionalit? con cui gestiscono la produzione e la diffusione dei dati relativi alle preferenze di voto?
La certezza di una risposta affermativa a questi interrogativi ? tale che stavolta non ? neanche scoppiato lo scandalo.
Ormai l’osservazione dei sondaggi viene liquidata con l’atteggiamento supponente di chi non intende pi? lasciarsi ingannare dalle invenzioni della nuova politica. Oggi tutti pensano che i sondaggi sono una truffa, uno strumento della manipolazione informativa, un nuovo modo con cui la politica cerca di attirare l’attenzione dei cittadini, o distoglierla. (continua…)
Ha vinto la religione e la famiglia, altro che Iraq o Osama
I risultati e le analisi di queste presidenziali servono a sfatare l?ennesima idea romantica (o quantomeno romanticizzata) con cui vengono visti i cittadini statunitensi da buona parte del pianeta. Ovvero quella secondo cui costoro considerassero queste elezioni ?una scelta storica in grado di influenzare il destino del mondo.? Sorry: nulla di pi? lontano dalla realt?. Dati alla mano, a far vincere Bush sono stati i valori tradizionali, la chiesa evangelica, l?intoccabilit? della ‘famiglia’. L?impatto dello spot di Osama ? stato scarso o nullo, assai ridotto perfino quello della ?war on terror? o della rampante ?dead-end? dell?Iraq. Ci? a conferma dell?abisso che separa la visione del mondo, e della vita, se considerata da dentro o da fuori gli States. (continua…)
7/11/2004
Un voto sull’equilibrio mondiale
Messa da parte la zucca della vigilia di Ognissanti, gli americani si sono presentati alle urne in un clima di forte partecipazione. L’attenzione che si ? dedicata all’evento delle elezioni presidenziali, sia dentro che fuori gli Stati Uniti, sembra andare al di l? dell’importanza attribuita al rinnovo della carica presidenziale: il voto, in modo pi? o meno consapevole, ? stato, infatti, da pi? parti considerato come una scelta storica in grado di influenzare il destino del mondo.
Raramente in passato le ripercussioni dei risultati elettorali sul sistema globale sono sembrate pi? dirette e tangibili. La designazione del nuovo presidente ? stata ritenuta capace di cambiare il volto della politica estera americana, incidendo sulla stessa definizione del ruolo degli Stati Uniti, in un particolare momento storico in cui le ipotesi sulla fine della storia e delle alternative all’affermazione del capitalismo lasciano spesso il posto alle profezie sugli scontri di civilt? e alle congetture sulla sua gestione. (continua…)
6/11/2004
Il “mulino bianco” della politica
Le elezioni statunitensi ci hanno reso ancor pi? consapevoli che i meccanismi della politica vanno sempre pi? identificandosi in quelli beceri ma inflessibili del marketing. Da una parte l’elettorato identificabile ed identificato in target ben definiti dal punto di vista sociografico; dall’altra un’offerta politica presentata non pi? in termini di contenuto ma solo di omogenit? al target.
L’America di Abu Ghraib come i biscotti del Mulino Bianco. Non ? del prodotto che si parla ma del suo grado di aderenza ai valori della tradizione, della famiglia, della sicurezza, i valori del target pi? numeroso, quello che - se opportunamente mobilitato - far? la differenza al momento dell’acquisto (del voto, appunto). (continua…)
4/11/2004
Presidenziali in Uruguay: svolta storica a sinistra
Due giorni prima dell?elezione statunitense, anche l?Uruguay ha scelto il presidente: quasi il 51 per cento dei voti sono a favore di Tabare Vazquez, candidato della coalizione di sinistra. Questa include Socialisti, Comunisti, Social Democratici e l?enorme Movimento di Partecipazione Popolare nato sulle ceneri dei Tupamaro, storico gruppo di guerriglia ormai allo sbando. Uno degli ex leader dei Tupamaro, Jose Mujica, ? stato anzi in prima fila nella campagna per Vazquez e ha ottenuto pi? voti di ogni altro candidato al Senato. L?elezione di Vazquez, medico 63enne, segna un cambio radicale dopo 170 anni di dominio dei partiti centristi tradizionali, i Colorados e i Blancos, accusati in particolare di aver trascinato l?Uruguay in una forte recessione dopo aver abbracciato il ?free market? di stile USA, come accaduto ad altri paesi sudamericani. Quegli stessi paesi che ora stanno attivando svolte analoghe, a partire dalla recente elezione di Luiz Inacio Lula da Silva a presidente del Brasile.
3/11/2004
Politically Incorrect
Verrebbe voglia di stigmatizzare gli americani come coloro che hanno scelto per la seconda volta uno stupido a rappresentarli. Verrebbe voglia di ricordare loro che da tre anni tutto il mondo ? costretto a percepirsi come l’arto in cancrena di una superpotenza incapace di trovare linguaggi e discorsi che parlano all’Islam, ormai cartina di tornasole di ogni conflitto sociopolitico di qui a venire. Verrebbe voglia di prendersela con gli indecisi che forse era meglio se rimanevano tali, con i sondaggi dentro le pieghe dei quali molta parte del mondo non allineato aveva riposto le speranze di un cambiamento, un cambiamento che radicale non sarebbe comunque stato. Verrebbe voglia di essere politically uncorrect, ed augurare quantomeno un ictus ad ogni neocon, prendersela anche un p? con gli opinionisti e gli analisti che si parlano addosso da giorni ma che di fronte alla clava conservatrice hanno finto l’equidistanza scientifica per non rischiare di proprio. (continua…)
Kerry concede, ma i problemi si amplificano e l’opposizione riparte
Da Boston Kerry e Edwards stanno concedendo pubblicamente la sconfitta. “Anche se il risultato non cambier?, ci assicureremo che ogni voto sia contato. E continueremo a combattere con voi per cambiare l’America”, ha esordito John Edwards. Stanco, serio e con voce roca, Kerry ha invece aperto sottolineando il “disperato bisogno di unit?, di trovare il ‘common ground’ per tutti gli Americani.” Passando poi a ringraziare ripetutamente, “dal profondo del cuore” e prossimo alle lacrime, i milioni di persone che ovunque nel Paese lo hanno sostenuto in questa battaglia. Rivolto al caloroso pubblico dell’hotel e ai cittadini in generale, Kerry ha detto che “verr? l’ora in cui il vostro duro lavoro e il vostro voto conteranno verso il cambiamento.” Con una moscia conclusione dedicata ancora al bisogno di unit? e il ritrito “God Bless America.” E pur se qualche manciata di voti deve ancora essere contata (particolarmente in Ohio) tra una paio d’ore toccher? al discorso del vincitore da Washington, che si preannuncia sobrio e pacato ma non lascer? dubbi su un futuro ancora pi? cupo. (continua…)
La psicologia degli indecisi e la vittoria di Bush
Mettiamola cos?: la maggior parte di noi si sente cos? diverso dall?elettore medio ? o mediano, per dirla con Downs ? americano (e italiano?), che stenta a capirlo. Fosse per noi, il dibattito politico volerebbe alto, il partito democratico farebbe una campagna diversa da quella plutomediatica dei repubblicani, e lo sfidante di Bush rifiuterebbe gli avvilenti imperativi della comunicazione televisiva, proponendo un modello altro di politica. Dopodich? gli americani, che secondo il wishful thinking di Chomsky e Moore aspettano solo di essere liberati dalla tirannia della propaganda mediatica, lo voterebbero con entusiasmo. Fin qui tutto bene, ma ? come diceva il film francese ? l?importante non ? la caduta: ? l?atterraggio. E cos?, gli americani ti vanno a rivotare Bush. Che, a prescindere dalla conta dei voti nell?Ohio, ha di fatto avuto i suoi tre milioni di voti in pi?. (continua…)
Comunque vada, serviranno a qualcosa queste elezioni?
Chiuse le presidenziali USA 2004. In non pochi casi ci sono state lunghe file di votanti per tutto il giorno, protattesi poi anche fino a due-tre ore dopo la chiusura ufficiale dei seggi per via dell’alto afflusso e delle poche macchine disponibili. E’ vero, si prevede un afflusso record: oltre 120 milioni di persone. Ma e’ “record” solo rispetto all’assenteismo degli ultimi 30 anni, e il ricorso al voto soprattutto come referendum sull’operato di Bush non offre poi grandi prospettive. I commentatori mainstream insistono per ora su simili aspetti da “record", ma stavolta non si sbilanciano troppo presto e sostanzialmente aspettano che arrivino dati certi (anche se ABC ha appena previsto vincitore Bush e le prime proiezioni confermano, soprattutto grazie agli stati del Sud). I quali dati, mettono in guardia esperti e critici, non saranno poi cosi’ certi per qualche giorno, visti i molti problemi evidenziatesi. I meno allineati, tipo Pacifica Networks e le radio locali pubbliche, insistono intanto sulla necessita’ di riformare l’intero sistema elettorale: non esiste il diritto costituzionale al voto, ne’ una normativa federale, ne’ standard applicati a livello nazionale. Con il risultato che non si contano discrepanze, esclusioni ed equivoci. Anche se questi vengono e verranno per lo piu’ taciuti per quieto vivere, come pure altri dettagli storici sulle discriminazioni elettorali delle minoranze (solo nel 1960 venne concesso agli Indian Americans di votare, ad esempio) che si riflettono e ripetono ancora oggi. Basta seguire Democracy Now! per accertarsi dei troppi problemi che gli eletti passati (e futuri) fanno presto a dimenticare. Un quadro complesso e per nulla semplificabile alle solite contrapposizioni di valori o a scelte perentorie. E’ un po’ questo il messaggio che il “movimento” USA cerca di far passare soprattutto in queste ore in cui quasi tutti paiono concentrati unicament sul risultato elettoriale: le presidenziali sono un momento importante ma ancora piu’ vitale e’ continuare sulla nostra strada verso il cambiamento, anziche’ essere co-optati dal potere per scegliere tra Bush e Kerry. Bisogna costringere chiunque vincera’ a ritirarsi dall’Iraq, a cambiare politica estera. Cosi’ la pensano nomi quali Noam Chomsky, Howard Zinn e Arhundati Roy. E a cui si associano molte persone di ogni provenienza, certi che sia comunque impossibile cambiare le politiche USA nel giro di un’elezione…
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Perché PoliticsMatters?
Le presidenziali USA alle porte paiono destinate a rimettere in moto il desiderio di attenzione e partecipazione politica in risposta ad un loro riproporsi in termini di scontro ideologico. Ciò anche per l'elevata posta in gioco rispetto agli equilibri socio-politici internazionali. Ecco allora questa iniziativa basata sull'impegno ad osservare da vicino quel che ruota intorno alle presidenziali USA analizzando i diversi livelli comunicativi proposti dai vari media.
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