Comunque vada, serviranno a qualcosa queste elezioni?
Chiuse le presidenziali USA 2004. In non pochi casi ci sono state lunghe file di votanti per tutto il giorno, protattesi poi anche fino a due-tre ore dopo la chiusura ufficiale dei seggi per via dell’alto afflusso e delle poche macchine disponibili. E’ vero, si prevede un afflusso record: oltre 120 milioni di persone. Ma e’ “record” solo rispetto all’assenteismo degli ultimi 30 anni, e il ricorso al voto soprattutto come referendum sull’operato di Bush non offre poi grandi prospettive. I commentatori mainstream insistono per ora su simili aspetti da “record", ma stavolta non si sbilanciano troppo presto e sostanzialmente aspettano che arrivino dati certi (anche se ABC ha appena previsto vincitore Bush e le prime proiezioni confermano, soprattutto grazie agli stati del Sud). I quali dati, mettono in guardia esperti e critici, non saranno poi cosi’ certi per qualche giorno, visti i molti problemi evidenziatesi. I meno allineati, tipo Pacifica Networks e le radio locali pubbliche, insistono intanto sulla necessita’ di riformare l’intero sistema elettorale: non esiste il diritto costituzionale al voto, ne’ una normativa federale, ne’ standard applicati a livello nazionale. Con il risultato che non si contano discrepanze, esclusioni ed equivoci. Anche se questi vengono e verranno per lo piu’ taciuti per quieto vivere, come pure altri dettagli storici sulle discriminazioni elettorali delle minoranze (solo nel 1960 venne concesso agli Indian Americans di votare, ad esempio) che si riflettono e ripetono ancora oggi. Basta seguire Democracy Now! per accertarsi dei troppi problemi che gli eletti passati (e futuri) fanno presto a dimenticare. Un quadro complesso e per nulla semplificabile alle solite contrapposizioni di valori o a scelte perentorie. E’ un po’ questo il messaggio che il “movimento” USA cerca di far passare soprattutto in queste ore in cui quasi tutti paiono concentrati unicament sul risultato elettoriale: le presidenziali sono un momento importante ma ancora piu’ vitale e’ continuare sulla nostra strada verso il cambiamento, anziche’ essere co-optati dal potere per scegliere tra Bush e Kerry. Bisogna costringere chiunque vincera’ a ritirarsi dall’Iraq, a cambiare politica estera. Cosi’ la pensano nomi quali Noam Chomsky, Howard Zinn e Arhundati Roy. E a cui si associano molte persone di ogni provenienza, certi che sia comunque impossibile cambiare le politiche USA nel giro di un’elezione…
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buongiorno! speravo di svegliarmi ed essere travolta da una ventata di cambiamento ma mentre dagli States amici mi segnalano una numerosa affluenza alle urne - con un grande coinvolgimento di donne e giovani - qui i giornali annunciano una probabile rielezione di Bush che e` in testa nel’Ohio e ha vinto ancora in Forida (dove proprio ieri Amy Goodman di Democracy Now! parlava di intimidadazione e annullamento di voti). Siamo alle solite?
Monica Zuccarini — 3/11/2004 @ 8:46 am