La psicologia degli indecisi e la vittoria di Bush
Mettiamola cos?: la maggior parte di noi si sente cos? diverso dall?elettore medio ? o mediano, per dirla con Downs ? americano (e italiano?), che stenta a capirlo. Fosse per noi, il dibattito politico volerebbe alto, il partito democratico farebbe una campagna diversa da quella plutomediatica dei repubblicani, e lo sfidante di Bush rifiuterebbe gli avvilenti imperativi della comunicazione televisiva, proponendo un modello altro di politica. Dopodich? gli americani, che secondo il wishful thinking di Chomsky e Moore aspettano solo di essere liberati dalla tirannia della propaganda mediatica, lo voterebbero con entusiasmo. Fin qui tutto bene, ma ? come diceva il film francese ? l?importante non ? la caduta: ? l?atterraggio. E cos?, gli americani ti vanno a rivotare Bush. Che, a prescindere dalla conta dei voti nell?Ohio, ha di fatto avuto i suoi tre milioni di voti in pi?.
Come hanno potuto, gli americani? Buona parte del problema, forse, risiede nella psicologia politica dell?elettore indeciso, che meglio di ogni altro incarna l?idealtipo dell?elettore mediano. Parliamo dell?elettore indeciso, insomma, per parlare dell?elettore americano qualunque, non partigiano. E inevitabilmente parliamo un po? anche dell?elettore qualunque italiano. Com?? ormai noto, l?elettore indeciso non ? tale perch? politicamente cos? motivato da processare sistematicamente e fino all?ultimo tutti gli elementi necessari a una decisione di voto ben ponderata. Al contrario, il tipico elettore indeciso ? (ancora) meno politicizzato degli altri, e tende a votare sulla base di un solo argomento di senso comune, che sar? per lui altamente accessibile e per noi spesso altamente banale: grosso modo, lo slogan della campagna elettorale, o il messaggio ridotto all?osso.
A volte per? non si tratta di un vero e proprio argomento, n? di una reale motivazione di voto, ma di un?impressione di fondo politicamente molto vaga e sfocata. Ad esempio, l?impressione che Bush stia meglio nei panni del presidente degli Stati Uniti d?America ? impressione largamente favorita dal fatto che lo ? gi? stato per quattro anni. Con indici di popolarit? sufficienti e in assenza di sfidanti fuoriclasse, peraltro, il candidato uscente gode sempre di questo vantaggio competitivo (?fattore incumbent?). Non a caso, soltanto Reagan ? riuscito negli ultimi cinquant?anni a scalzare per merito suo un presidente uscente (Clinton fu debitore di Perot e del suo eccezionale 18% di voti sottratti perlopi? a Bush I).
Questi, quindi, gli antefatti: il clima d?opinione non era certo di quelli che invocano inesorabilmente un cambiamento (come invece succede ormai puntualmente in Italia e in Francia alla fine di ogni legislatura), la popolarit? di Bush vivacchiava benone intorno al 50% e i flussi comunicativi della campagna erano come prevedibile del tutto equilibrati. Suoner? un po? deterministico, ma questi semplici dati di fondo danno una grossa mano a decifrare il comportamento degli indecisi. Tanto pi? se si aggiunge che, come dicevamo, lo sfidante Kerry non era - sia detto senza ironia - un fuoriclasse. Ma sarebbe ingeneroso mettere sotto processo il candidato democratico, penalizzato pi? dai suddetti antefatti (il contesto) e dai suoi strutturali punti deboli che non dalla specifica condotta di campagna.
Del resto, quali alternative avevano i Democratici? Cerchiamo di guardare ai candidati delle primarie con gli occhiali dell?elettore mediano indeciso: Edwards ? ?televisivamente? perfetto per un?elezione di cambiamento, ma troppo giovane e ?frivolo? per un contesto dominato dal tema della sicurezza nazionale; Dean pu? andare bene per chi vede la politica come si diceva all?inizio, ma ? ? pi? ancora che troppo radicale politicamente - troppo ?musone? comunicativamente: l?indeciso non ce lo vede proprio come presidente. Gli altri, un disastro: Clark straordinariamente privo di carisma, Lieberman quasi caricaturale nelle vesti di leader politico, Gephart buono per perdere 60 a 40. Fra tutti, Kerry era il pi? autorevole, rassicurante e verosimilmente presidenziale. Ma con due brutti difetti per gli strani occhiali dell?elettore mediano indeciso: troppo elitario stilisticamente, troppo? Superpippo fisicamente. Com?? caduta in basso la politica? Forse, ma il potere esige i suoi simboli. Specie per chi, come l?elettore mediano indeciso, guarda pi? agli elementi periferici che a quelli centrali della politica.
Qualche speranza per Kerry risiedeva in quei sentori di partecipazione straordinaria che poi c?? effettivamente stata. Ma la mobilitazione non si ? rivelata pi? che proporzionalmente favorevole a Kerry che a Bush. Il clima di polarizzazione ha acceso e trascinato alle urne anche i Repubblicani pi? tiepidi, e la macchina del partito al potere non ha evidentemente trascurato nessun dettaglio, non si ? lasciata sovrastare dai Democratici n? nell?intelligenza strategica del targeting (dove e su chi si concentrare la campagna?), n? nello sforzo ?fisico? di mobilitazione sul terreno. Ognuno ha attivato la propria base e le proprie ?minoranze?, con l?effetto lordo di una neutralizzazione reciproca degli sforzi e di un sostanziale ricalcare gli equilibri del 2000 nei singoli stati.
Nel frattempo, colui che aveva deciso le sorti del voto non sapeva di averle decise: l?elettore mediano indeciso avrebbe infatti deciso per Bush, prima ancora di deciderlo.
2 Comments
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grazie mauro,per un articolo lucido e spietato, e perci? ancor pi? preciso.credo anch’io che la politica e il potere vogliano i loro simboli, la loro dose d’immagine.in fondo dall’antico egitto in poi, non ? sempre stato cos??ma perch?, mi chiedo da elettrice,nelle fila delle forze progressiste di tutti i paesi democratici, non si formano leader competitivi? il problema non sta dunque nella sinistra di casa nostra, frazionata ed eterogenea, ma proprio nella formazione politica?cos? giro a te e a tutti gli altri la domanda:perch? non emergono pi? validi politici democratici?
evelina — 3/11/2004 @ 7:51 pm
cara evelina, un’ipotesi: perch? oggi la pertinenza dei simboli passa al vaglio implacabile della televisione!
E non ? facile avere allo stesso tempo le qualit? del leader politico e quelle del presentatore televisivo. non per fare il laudator temporis acti, ma un tempo erano due mestieri diversi… Sarebbe per? il caso di sentire anche altre ipotesi.
mauro barisione — 3/11/2004 @ 9:30 pm