Ha vinto la religione e la famiglia, altro che Iraq o Osama
I risultati e le analisi di queste presidenziali servono a sfatare l?ennesima idea romantica (o quantomeno romanticizzata) con cui vengono visti i cittadini statunitensi da buona parte del pianeta. Ovvero quella secondo cui costoro considerassero queste elezioni ?una scelta storica in grado di influenzare il destino del mondo.? Sorry: nulla di pi? lontano dalla realt?. Dati alla mano, a far vincere Bush sono stati i valori tradizionali, la chiesa evangelica, l?intoccabilit? della ‘famiglia’. L?impatto dello spot di Osama ? stato scarso o nullo, assai ridotto perfino quello della ?war on terror? o della rampante ?dead-end? dell?Iraq. Ci? a conferma dell?abisso che separa la visione del mondo, e della vita, se considerata da dentro o da fuori gli States.
Tra l?incredulit? di certi ambienti Democratici e internazionali, le presidenziali hanno ribadito soprattutto il gap esistente tra le persone comuni rispetto a temi quali separazione tra stato e chiesa, diritto all?aborto, rispetto delle minoranze, tutela dello status quo socio-culturale. Scenario confermato dai dati appena diffusi sull?ultimo sondaggio dell?Associated Press – da prendere pur sempre con le molle ma significativi perch? confortati da altre fonti e visibili sul campo (vivendo qui). Bush ha avuto il 78 per cento dei voto dei credenti bianchi di fede evangelica, ovvero il 23 per cento degli elettori. Come pure il 52 per cento di chi segue la chiesa cattolica romana e il 56 per cento dei cattolici in generale.
Ancora: per lui ha votato il 61 per cento di coloro che vanno in chiesa ogni domenica (una qualunque delle moltissime presenti sull?intero territorio USA). Ci? corrisponde a oltre il 40 per cento dell’intero elettorato. All’opposto, Kerry avrebbe avuto il voto del 62 per cento degli americani che non vanno a Messa – peccato che si tratti di appena il 14 per cento dei potenziali votanti.
E pur professandosi apertamente cattolico, Kerry ? rimasto incastrato per l?aperta posizione pro-aborto, e molti credenti di fedi diverse lo hanno punito proprio per questo. Alcuni vescovi (e vari politici) si sono spinti fino al punto di affermare che non gli dovrebbe essere neppure permesso di fare la comunione. Per non parlare dei cosiddetti valori tradizionali: fattore determinate nel voto per il 22 per cento degli interpellati, superiori all?economia (20 per cento), al terrorismo (19 per cento) e alla situazione in Iraq (15 per cento). Mentre il fattivo supporto della Campaign for Working Families ha portato all?elezione di tutti i 12 parlamentari repubblicani appoggiati.
Come sintetizza il Reverend James Kennedy di Fort Lauderdale, in Florida: gli elettori hanno ?consegnato un mandato morale… e adesso Bush deve rispettare i loro valori.? Oppure nelle parole di Michael Cromartie, esperto dell?organizzazione conservatrice Ethics and Public Policy Center: ?Tutti i futuri consulenti politici dovranno capire appieno le sensibilit? religiose come parte del proprio curriculum.?
2 Comments
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E’ chiaro, anzi chiarissimo! Ma ? anche chiaro che gli States che conosciamo noi, quelli della multiculturalit?, del melting pot, dell’economia avvanzata, della Net economy, delle tensioni sociali e delle universit? d’eccellenza. Quella che traina l’economia mondiale per intenderci, in larghissima maggioranza ha votato per Kerry. Mentre questa America qui ? pi? compatta e pi? numerosa e vince! Mi chiedo se questo non creer? delle tensioni all’interno del paese, che cos?, visto l’attenzione alla cultura della periferia dell’Impero che il presidente riconfermato dovr? garantire, vede frenata la sua capacit? di innovare e di relazionarsi con il resto del mondo.
Leonas — 8/11/2004 @ 10:58 am
Il punto ? che non ? affatto sbagliato fare una campagna imperniata sui valori. Ma la scelta dei valori da difendere ? una questione di civilt?, non una questione politica. Almeno non soltanto.
Avrebbe mai potuto Kerry fare una campagna contro quei valori che a fatica si stanno affermando? Dalla difesa dell’ambiente al diritto dei gay di sposarsi? Si fa presto a dire valori! Se la marcia lenta della civilt? trover? con Bush una battuta d’arresto significativa, c’? da scommetere allora che presto sentiranno di poter riemergere quegli estemismi razzisti e xenofobi che covano sempre sotto la cenere della democrazia, di ogni democrazia. Di fronte alla continua emorragia di posti di lavoro, presto si inizieranno a chiedere sempre pi? repressive politiche dell’immigrazione, si andranno a ridurre gli spazi di tolleranza, e saranno molti gli americani che - sul fulgido esempio di Bush - prenderanno a farsi giustizia da s?. E questa diventer? presto una questione di responsabilit? politica. Se per vincere le elezioni occorre dare ascolto ai valori pi? retrogadi che ispirano le comunit? chiuse, creando nemici-fantocci contro cui gruppi di facinorosi potranno scagliarsi anche violentemente (perch? un nemico costruito ad arte e fatto penetrare nell’immaginario collettivo ? un nemico che si chiama a combattere con ogni arma)allora siamo alla politica pre-moderna. A quelle di ragioni (di stato, di politica) sordi ad ogni ragione. Ed anche questo pu? essere letto come un effetto tardivo della globalizzazione: l’America di Bush non poteva esserne immune.
Per immediata traslazione del problema il riferimento ? all’Italia. Dove non sono pochi ad affermare che stiamo vivendo il periodo politico pi? brutto della storia repubblicana: dove ? permesso (by)passare sulla giustizia, dove l’illecito ? chiamato finanza creativa, dove si regalano condoni a piene mani. Dove il populismo spinto di tanti politici sta scardinando ogni idea condivisa di stato. Non sorprende affatto che poi…tutto questo, avr? un pesante costo sociale in termini di civilt?. Quella dell’Europa a Buttiglione ? stata una lezione in tal senso.
ros — 8/11/2004 @ 12:29 pm