Il risultato delle urne: il sollievo elettorale
Storicamente i presidenti americani hanno sempre sfruttato i primi quattro anni per aumentare consenso e popolarit?, come se l’obiettivo primario fosse da subito quello della rielezione. E’ invece nel secondo mandato che hanno dato corpo alle loro principali iniziative politiche. Lo ha fatto Clinton con la riforma sanitaria e la sottoscrizione del protocollo di Kyoto. Lo far? Bush, come sostiene anche l’editorialista di Le Figaro Pierre Rousselin, ancor pi? con la sua forte legittimazione popolare e con l’appoggio del Congresso.
Sar? anche per questo che da pi? parti affiora la sensazione che il Bush-bis sar? pi? soft del primo mandato. Meno guerrafondaio, forse anche pi? solido politicamente.
Ragion per cui il politically correct che, ruffiano e diplomatico ha imperato sui giornali del giorno dopo, consegna l’idea che gli Americani abbiano votato Bush anche per una sorta di consapevolezza del pericolo, rispetto all’idea del pericolo nuovo. Si fa strada cio? l’idea che ha prevalso l’stinto di conservazione nell’elettorato americano, di bisogno di approvazione dell’operato presidenziale come primo passo di una agognata stabilit? politica. In effetti un sistema politico democratico ? stabile - come ricorda Lipset - se ? sviluppato economicamente e socialmente e se ? dotato di legittimit? ed efficacia decisionale. Inoltre un sistema politico resta stabile proprio perch? in grado di affrontare le sfide che vengono dall’ambiente “assumendo comportamenti strategici adeguati in ampiezza e intensit?”. E magari venire per questo premiato dal consenso popolare.
Si pu? dunque affermare che il bisogno di stabilit? sia stato uno dei numerosi motivi per cui ha vinto Bush. O il primo per cui ha perso Kerry.
Inspiegabilmente tranquillizzata dalla continuit?, l’opinione pubblica internazionale aspetta ora al varco le scelte del presidente in tema di economia, ambiente, sanit?, tastando il polso alle sue dichiarazioni sulla laicit? di stato, ma soprattutto aspettando le decisioni che riguardano le alleanze di guerra e la politica estera. Sergio Romano sul Corriere ritiene addirittura che Bush abbia in questo modo pi? libert? di gestire la situazione irachena, probabilmente fino ad un ritiro neanche troppo improbabile, e che Kerry invece avrebbe dovuto giocoforza dare una immediata sterzata alla sua politica estera. Ma lo spazio pubblico sembra gi? raffreddato rispetto alle grandi campagne anti-Bush degli ultimi giorni di campagna elettorale. E’ subentrata una strana forma di rassegnazione che lascia in sospeso anche le doverose autocritiche della sinistra democratica che , addirittura pensa di riproporre in prima fila un Bill Clinton mai cos? rivalutato.
I giornali europei, alquanto sarcasticamente, accolgono il vecchio-nuovo inquilino della Casa Bianca sostenendo che l’unica cosa positiva ? che non potr? ricandidarsi nel 2008. Per il resto, non c’? traccia di concreti pensieri di opposizione, di rigetto a mezzo stampa di quelli che saranno i cosiddetti “ four more years” .
Quello che traspare insomma ? la convenienza del mantenimento dello status quo. Soprattutto rispetto all’Europa. Che nella sua nuova unit? rivoluzioner? i rapporti di politica estera degli USA, rendendoli non pi? semplicemente bilaterali e legati ad alleanze state-by-state, mettendo in difficolt? alleati storici come Blair e Berlusconi che, in questo modo, devono rendere conto sia al proprio paese che al governo comunitario. Insomma, siamo sicuri che dietro l’apparente facciata di sconforto dei governi europei (come quello tedesco e francese) per la vittoria di Bush non ci sia invece una sorta di piccolo sollievo, come fra l’altro ha sostienuto Bernardo Valli su Repubblica gi? prima dell’esito finale?
I Governi europei possono in questo modo continuare la lotta contro Bush, alimentare una politica anti-americana senza essere chiamati a gestire in prima persona la situazione irachena, sottraendosi a quell’ “abbraccio multilaterale” a cui l’Europa non ? ancora pronta. Possono contare su un comodo bersaglio, su una sorta di contraltare anche rispetto alle riforme interne, come quelle sociali e previdenziali dello spagnolo Zapatero che contrappone le sue scelte in tema di diritti sociali (in particolare in riferimento alle coppie di fatto ed ai gay) a quelle dei conservatori che Bush ha rafforzato nelle ultime ore. Possono continuare a prendere le distanze dalla Russia di Putin, che per gli USA sta invece diventando un alleato-ombra. Possono perfino continuare a litigare al loro interno senza proporre una politica comune come succede nel centrosinistra italiano, ancora insabbiata nella ambiguit? sulla guerra in Iraq.
Dunque sembra di rileggere Marcuse (1967): “Un interesse prepotente per la conservazione ed il miglioramento dello status quo istituzionale unisce gli antagonisti d’un tempo nelle aree pi? avanzate della societ? contemporanea”.
Come dire che dalla possibile svolta epocale si ? velocemente e sommessamente passati al tranquillo e rassicurante nulla di fatto. Tutto come prima. E allora, tutti contenti?
Riferimenti Bibliografici
Bobbio Norberto, Matteucci Nicola, Pasquino Gianfranco (a cura di), Dizionario di politica, Torino, TEA, 1990
M. Lipset, L’uomo e la politica, Comunit? Milano, 1963
Herbert Markuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1967
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